American crying
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Per venticinque minuti, i visionari si sono autoconvinti che bastassero tre giorni di allenamento a tozzi e bocconi di Daniele De Rossi per cambiare i connotati a una squadra che somiglia sempre di più una utilitaria su cui il meccanico a ogni tagliando mette le mani per permetterle di allungare la sua vita in strada. Sapendo che questa utilitaria è già oltre il numero di chilometri percorribili. Da rottamare. Ci si affida pure ai piloti, che attraverso scorciatoie provano ad abbreviare il tragitto. Ma alla lunga, che ci sia un guidatore esperto o un neo patentato, che si rifaccia il carburatore o la frizione, la macchina è a fine corsa.
De Rossi ha provato a partire spedito. Conseguenza? La squadra ha quasi fuso la testata. Dopo venti minuti Spinazzola è rientrato ai box, a fine primo tempo Dybala ha chiesto di accostare per scendere, mentre Pellegrini al primo tamponamento sembrava facesse i conti con un colpo di frusta. Nel secondo tempo si viaggiava in folle, con la Roma doppiata dalla macchina veronese, arrivata nella capitale nonostante il fermo amministrativo. Dopo venti minuti la Roma sembrava avesse chiuso il conto. Invece aveva appena iniziato a mostrare le cause dei piazzamenti mediocri degli ultimi anni. Coperta corta. Forse anche per questo il tanto oggi vituperato Mourinho centellinava accelerazioni e assalti. Consapevole che la Roma non è dinamica, raramente regge i novanta minuti a passo spedito e che non ha personalità per mostrarsi forte pure quando è in panne.
Spaventata da un Verona che ha un piede e mezzo nel burrone e che nel secondo tempo ha fatto il torello. Non certo per colpa di De Rossi. Che sta provando a dare un'identità nuova alla squadra. Più propositiva. Ma facendo i conti con le solite falle strutturali di sempre. Quelle mai turate dal general manager dimissionario, che continua a parlare da dirigente come niente fosse. Un'oscenità mediatica di cui si tiene sempre poco conto. Il dirigente nuovo, che sta per essere annunciato, avrà il compito più arduo che esista.
Vada come vada, al termine della stagione, serve una rivoluzione. Conosciamo bene la tagliola piazzata da Nyon sul percorso. Ma è malinconico, dopo quasi tredici anni di propagandate gestioni americane, che la Roma si sia ridotta al rango di un club bisognoso ma impossibilitato ad alzare la testa per riprogrammarsi. Che a parte un ragazzino prestato dalla Juventus, al massimo può ambire a uno scambio di prestiti di riserve con la Fiorentina (Belotti per Ikone). Ci si può immalinconire senza che arrivino i difensori d'ufficio a ricordarci quanti milioni di euro immettano i Friedkin ogni mese nelle casse del club? Così come fino a quattro anni fa a chi si azzardava a criticare gli ultimi ventiquattro deleteri mesi della gestione Pallotta veniva stupidamente ribattuto "ti meriti Ferrero presidente". Risposte tipiche di chi non ha risposte.
Riusciranno gli americani prima o poi ad attecchire nel calcio italiano? Oppure avranno tanta forza da cambiarlo il calcio italiano? Perché dopo oltre un decennio il piatto piange, sotto il profilo tecnico, commerciale e finanziario. Come si cambiano i connotati alla Roma? Non appesantendo il fardello degli allenatori. Che si chiamino Mourinho o De Rossi, non potranno mai moltiplicare pani e pesci. Possono dare un contributo. Mourinho da motivatore, martello, comunicatore borderline, capo carismatico. De Rossi da giovane con idee tattiche di ampio respiro, da conoscitore dell'ambiente, da uomo e professionista amato ed esemplare.
Poi serve ciò che la Roma non ha. La Roma non ha un progetto. E men che meno oggi potrebbe svilupparlo. Si attende il nome del nuovo manager che avrà il compito più arduo che esista, appunto. Perché la rosa di questa Roma a fine stagione andrà rottamata. Continuare a dire che la squadra è da podio perché ha il terzo monte ingaggi significa gettare fumo negli occhi. Il terzo monte ingaggi è figlio di errori grossolani commessi negli anni. Perché la Roma strapaga calciatori che in carriera non sono mai andati oltre il quinto posto. Gente che ogni due mesi sfoggia una prestazione decorosa e si permette pure di assumere un atteggiamento risentito, come a dire "dicevate?". La speranza è che l'effetto De Rossi non sia un effetto, ma un modo nuovo di pensare calcio, che faccia breccia. Che il neo patentato si riveli abile pilota. Ma che nessuno si permetta di giudicarlo. Vuole essere trattato da allenatore e ciò sia. Ma i giudizi mai come ora ricadranno sempre e soltanto su chi negli anni ha dimostrato senza dubbio buona volontà, capacità di immettere denari, ma poca dimestichezza e scarsa predisposizione a calarsi nella cosa più lontana dagli sport americani. Il calcio italiano.
In the box - @augustociardi75