Losi e quell'amore per De Rossi: "Anche lui è un core de Roma"
A 88 anni è scomparso Giacomo Losi, indimenticabile bandiera romanista che con la maglia giallorossa ha detenuto a lungo il record di presenze prima di venir superato da Francesco Totti e Daniele De Rossi. Proprio quest'ultimo, l'attuale allenatore della Roma, era per Losi "un mio ragazzo". E proprio ora ci fa piacere riportare questi due stralci dal passato.
Un cuore grande, un Core de Roma. Proprio come quel Giacomo Losi che nel libro di Tonino Cagnucci “Il mare di Roma” parlava così del suo «erede» De Rossi: «Sì, Daniele ce l’ha quella cosa che non si può dire… la vedi, la capisci ma è difficile da spiegare. È quella cosa che fa la differenza, che ti fa innamorare. Io ho un debole per lui da sempre, dalla prima volta che l’ho visto giocare. Per la voglia, l’attaccamento alla maglia, la tigna, il sentimento, lo sento il mio erede. Quando mi chiedono che caratteristiche deve avere un capitano della Roma, io rispondo: le sue. De Rossi ha tutto per diventare il più grande di tutti. Quando mi vede è sempre molto rispettoso, mi dice «Mister!». A fine maggio ci siamo incontrati alla consegna di un premio, io stavo con Eusebio, li ho presentati, poi mi ha abbracciato. Quando ci vediamo sembra me quando incontravo Masetti, Amadei, che mi veniva la pelle d’oca. Lui è così, ci tiene alla tradizione, alle cose della Roma. Lo vedi anche quando indossa la fascia da capitano. La vedi quella cosa… Sì… Core de Roma… a lui sta bene».
Una storia d’amore lunga 452 partite. La prima il 30 ottobre del 2001, la Roma gioca contro l’Anderlecht in Champions League e Fabio Capello al 70’ sostituisce Ivan Tomic con quel ragazzino biondo di soli 18 anni. L’esordio in Serie A arriverà il 25 gennaio del 2013 a Como e Capello lo sceglie per sostituire Pep Guardiola che il giorno prima aveva deciso di lasciare la Roma. Il primo gol il 10 maggio dello stesso anno alla prima da titolare all’Olimpico. Contro il Torino De Rossi, a 19 anni e 9 mesi, segna con un gran tiro dalla distanza facendo impazzire i tifosi giallorossi. Da lì tante soddisfazioni tra Champions League, Coppa Italia e la Nazionale. Ma anche delusioni fortissime come i campionati sfumati all’ultimo e lo scorso 26 maggio.
«Ero distrutto, pensavo non poter rimarginare mai questa ferita» ha detto De Rossi a febbraio in un’intervista alla rivista francese “So Foot”. Una batosta che rischiava di mettere a rischio il suo matrimonio con la Roma. L’offerta del Manchester United è arrivata troppo tardi, per fortuna di tutti. Il patto fatto con Garcia ha retto e adesso Daniele De Rossi è più che mai simbolo e pilastro della Roma dei record. Il record contro l’Atalanta l’ha registrato lui superando “Core de Roma” Losi diventando il secondo giocatore con più presenze in maglia giallorossa. Il primo è Francesco Totti, il suo idolo quando De Rossi faceva solo il raccattapalle. Insieme sono la storia della Roma e insieme vogliono portarla sempre più in alto.
Oggi è arrivata la notizia dell’addio di De Rossi alla Roma. Quali sono le Sue sensazioni in merito?
«Mi dispiace da morire perché De Rossi è uno che rappresentava la Roma in una maniera particolare. Peccato per la squadra. Uno dei giocatori secondo me anche più amati dai tifosi in questo momento. Mi dispiace perché De Rossi poteva stare nella Roma ancora per qualche anno e se lo meritava».
De Rossi ha raccontato che la decisione non è sua, ma è stata la società a impedirgli di continuare a giocare. La storia di Daniele Le ricorda un po’ la Sua?
«Eh, assomiglia un po’ alla mia perché poi purtroppo queste società non tengono conto dei campioni che meritano o del fatto che siano loro a decidere quando smettere di giocare. De Rossi poi era ancora in condizione per poter giocare, come lo ero io ai tempi miei. Però la società ha deciso in un certo modo. Secondo me deve lasciare libero il campo al pensiero di voler smettere o continuare ancora se ci si sente ancora di poter dare qualcosa».
Qual è oggi il Suo rapporto con Daniele?
«Daniele è un “mio” ragazzo, diciamo così. L’ho sempre apprezzato perché assomigliava anche un po’ a me, perché la sua generosità in campo è sempre stata perfetta. Si è creato il massimo delle sue capacità mentre giocava».