Gandini: "Pallotta ci chiamava tutti i giorni e si informava, non era così distante. Tornare alla Roma? Il mio ruolo è occupato, ma non pongo limiti al futuro"
TELERADIOSTEREO - Umberto Gandini, amministratore delegato della Roma dal 2016 al 2018, ha rilasciato alcune dichiarazioni all'emittente radiofonica e tra i vari temi trattati si è soffermato sulla sua avventura nel club giallorosso, su José Mourinho, sui Friedkin e molto altro. Ecco le sue parole.
Per concludere l'accordo con il FFP, la Roma potrebbe pagare una multa o rinunciare alle competizioni europee per un anno e riuscire così a costruire una squadra adeguata?
“Le regole del FFP hanno colpito anche la Roma dei miei tempi, abbiamo dovuto prendere determinate decisioni che con il senno di poi non avremmo fatto e che ci hanno costretto a cedere alcuni calciatori. Il Milan ha rinunciato all'Europa, ma non so se la Roma possa farlo".
Il suo lavoro a Roma?
“Sono stato benissimo alla Roma, mi vanto di aver contribuito a uno dei momenti più alti del club, ovvero la semifinale di Champions League, in un momento non facile con la fine del regno di Totti, l’arrivo di Di Francesco e tante altre cose. Raggiungemmo la semifinale e la qualificazione in Champions per 2 anni di fila. Pallotta? Non era facile lavorare con una proprietà distante, ma non era così distante come sembrava dall'esterno: Jim ci chiamava tutti i giorni, voleva essere informato e coinvolto. È difficile lavorare con una proprietà che non capisce il quotidiano e il nostro quotidiano è Roma”.
Capisce il silenzio dei Friedkin? Può funzionare a Roma questa strategia?
“È difficile giudicare, ma resta comunque una loro scelta. Ci si lamentava dell’assenza di Pallotta, non credo che con i Friedkin sia cambiato molto dal punto di vista della presenza scenica… Ora la proprietà è rappresentata dal suo allenatore".
Ha senso prendere Mourinho senza avergli affidato una rosa adeguata?
“Mourinho è sempre stato un condottiero e si comporta come tale anche a Roma. Le rose le fanno le proprietà”.
Che le manca di Roma?
“Tante cose, sia la città sia il calore dei tifosi erano straordinari. La mattina dopo la vittoria col Chelsea andai al bar e la gente mi salutò e ringraziò nonostante fossi solamente l'amministratore delegato. Mi manca il calcio”.
In alcuni club del nord spesso non si sa chi sia a capo di terminati ruoli societari, mentre a Roma si sa sempre tutto: è un bene o un male?
“Una relazione così forte tra squadra e città l’ho trovata solo a Roma ed è paragonabile alla situazione che si vive a Barcellona. È un valore da non disperdere”.
Maldini e Totti sono stati mandati via dalle società: non c’è spazio per il romanticismo in questo nuovo calcio?
“Temo di no, ma penso che si parli di competenze. Nel calcio di oggi si fa poco attenzione alla competenza”.
Conosce Lina Souloukou?
“Non la conosco. Quando arrivò in ECA io ero già andato via, ma ha fatto una carriera importante sia all'Olympiacos sia all’ECA”.
L'abolizione del decreto crescita affossa il calcio italiano?
“Era uno dei pochi vantaggi che si potevano avere. I numeri non erano così impattanti e l'abolizione non porterà alla risoluzione dei problemi dei settori giovanili italiani”.
Pinto andrà via: tornerebbe alla Roma?
“Non faccio il mestiere di Pinto, il mio ruolo è attualmente occupato ma non pongo limiti al futuro. Sono uno dei pochi che è andato via dalla Roma senza nessun tipo di antagonismo, è stato tutto bello”.